|
di Andrea Piovano |
|||||||||||||
|
Negli ultimi anni, le Langhe e il Roero, territori collinari allinterno della provincia di Cuneo, in Piemonte, sono stati scoperti o riscoperti alla luce di una tradizione di cordialità, buona tavola e bellezze naturalistiche. In questi luoghi non vi è una meta in particolare che si offra come punto di partenza privilegiato o di arrivo. Girovagare, in questa sorta di piccolo mondo antico, significa percorrere pochi chilometri tra un paese e laltro, fermarsi a discorrere con la gente, entrare in una trattoria per unospitalità familiare e casereccia che resterà impressa nel ricordo. La scorza dellanima contadina, a volte ruvida agli occhi del cittadino, dischiude, al turista che sappia capire, ricchezze di unumanità che nella fretta urbana si sono perse. In passato queste colline erano piccoli centri rurali isolati, piccoli microcosmi arroccati nellintorno di antichi castelli medievali, abitati da gente chiusa e appartata. In dialetto, esiste unespressione che definisce i piemontesi "bugia nen", ovvero "che non si muovono", e se tale è lattitudine della gente del luogo, oggi queste colline sono diventate meta di un turismo internazionale. Attratti dai sapori enogastronomici come dalla quiete di queste colline, americani e tedeschi, dopo aver comprato i casali della campagna toscana, in questi ultimi anni hanno trovato in queste terre una meta privilegiata per le loro vacanze. Se oggi la gastronomia consegna al tartufo il ruolo di piatto principe della cucina langarola, le origini di questa tavola sono povere. Tutti gli ingredienti erano infatti quelli che ogni famiglia reperiva in casa e nellorto. Tra le mura domestiche, sono nati piatti ormai molto conosciuti come i tajarin, i sughi di fegatini, la torta di sangue, e poi minestroni, costine, arrosti di pollo e maiale, "frisse", "grive", frittate, "bunet", torte di nocciole, zabaione, e ancora il fritto misto alla piemontese, gli agnolotti al sugo di carne, selvaggina in salmì, lepre al "civet" e fonduta. |