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Bergamo, la terra dei miei padri
di Elena Staurenghi |
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La lingua o dialetto, ostica per molti, porta traccia di tutti questi passaggi di genti; ha un'abbondanza di vocaboli che si riferiscono all'attività agricola e pastorale che erano le attività preminenti delle genti bergamasche: in pianura ed in collina erano contadini, in montagna pastori, in città prendeva il sopravvento la mercatura, le professioni liberali e quello chi oggi chiamiamo l'artigianato. Molti sono i vocaboli onomatopeici, poi troviamo parole derivanti dal latino, dal tedesco gotico, dal tedesco, dal greco, dal celtico, dal bretone, dallo slavo, dal francese e dallo spagnolo dal longobardo e dal veneto: nei nomi dei luoghi c'è traccia anche dell'etrusco come in Chiavenna. Il dialetto si presenta come rude, aspro, con molti suoni aspirati, dalle forme brevi e vigorose, conciso e sempre aderente al lato pratico della vita. Tutto ciò è però attenuato dalla vivezza delle frasi, dalla originalità delle espressioni, dal carattere gustosamente giocoso, e dalla sua espressività. L'800 ci ha lasciato anche una notevole produzione di opere teatrali in dialetto: Pietro Ruggeri, nato a Stabello nel 1797 e morto a Bergamo nel gennaio 1858 scrive numerose opere spassosissime ispirate alla vita del popolo particolarmente povero e derelitto che aspira ad avere una vita migliore e più umana. La sua più geniale creazione è il Gioppino, maschera maschile che ha tre gozzi: è rozzo, usa il bastone per farsi giustizia perché vorrebbe un mondo più umano e più giusto: sua compagna è Margì. Anche Arlecchino e Brighella sono maschere bergamasche che attraverso la Commedia dell'Arte saranno poi portate alla massima altezza da Goldoni e da Molière: dice Proust: " quando Arlecchino lasciò la scena bergamasca per la francese, da "balourd" diventò "bel esprit.." |
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