PIANI DI VOLO I luoghi verdiani

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Al di qua e al di là dell’Ongina, il fiume che separa Parma e Piacenza, da secoli si perpetua la storia di una rivalità, oggi più che mai sentita. Il motivo della contesa? Da tempo immemorabile i motivi si sono persi nella memoria: restano i dispetti e gli screzi tra province sorelle che, accomunate dalla presenza di Verdi, vissuto ora nei luoghi dell’una, ora dell’altra, si contendono l’ambito riconoscimento di "luoghi verdiani".

Giuseppe Verdi nacque a Roncole di Busseto, il 10 ottobre 1813, registrato in Comune col nome di Joseph-Fortunin François: si era ai tempi dell’occupazione napoleonica. La casa natale era una vecchia locanda di architettura contadina, fredda e con poche stanze disadorne. Queste pianure allora erano terra di braccianti, ricca di una umanità sanguigna, conviviale, con lo spirito del "su fratelli e su compagni". Oggi i frutti della campagna sono organizzati in fabbrica agricola a cielo aperto: le mucche sono munte dal computer e i tratturi, i viottoli e i sentieri qualcuno li ricorda, ma più non si vedono. Ora la casa è visitabile in una perfetta ricostruzione che così perfetta, chissà che vita facevano quei contadini-osti? Beh, al di là della "fedele ricostruzione", il viaggiatore curioso si goda la leggenda e il sapore, questo davvero popolaresco (o forse siamo già nel gossip?), dell’aneddoto: pare che quando la signora Luigia era impegnata nelle doglie a far nascere Peppino Fortunino, passò da quelle parti una compagnia di musici girovaghi che, intonando la loro sarabanda, avessero così presagito il genio legato al destino del piccolo Verdi. Cresciuto, il giovane iniziò ad apprendere i primi rudimenti dell’arte musica, suonando l’organo nella Chiesa di San Michele, qui ancora conservato. A cinque chilometri dalle Roncole e una quarantina da Parma c’è Busseto, "paese che ha il malvezzo di intricarsi negli affari altrui, e disapprovare tutto quello che non è conforme alle sue idee": questo ciò che ci lascia scritto il maestro, di certo esacerbato dai rapporti non sempre facili che intrattenne con la piccola comunità, soprattutto in seguito alla mancata nomina a organista della collegiata. Se qui egli scrisse il Rigoletto e il Trovatore, è anche vero che si sposò e grazie alla magnanimità di Antonio Barezzi potè frequentare gli studi di musica a Milano. Nel piccolo centro tutto parla di Verdi: da palazzo Barezzi, al teatro in suo onore alla statua che lo scultore Luigi Sacchi realizzò nel 1913 per il centenario della nascita del compositore, qui ritratto seduto su una poltroncina con polacchine e cappoto a doppio petto.

Più d’ogni altro luogo parla del maestro e degli anni che passò in veste di gentiluomo di campagna, la Villa di Sant’Agata, vecchia casa colonica appartenuta ai suoi genitori. In quel tempo Peppino Fortunino era già l’acclamato maestro, celebre in tutto il mondo e quivi trovò la pace e la calma di cui altrove sarebbe stato privo. Tra le rigide disposizioni impartite per la cura dei suoi appezzamenti terrieri e le passeggiate nei ricchi giardini, egli trascorse le sue giornate. La notte componeva al suo scrittoio, in silenzio, senza concertare.

Il parco è una ricchezza che lascia di stucco: cipressi altissimi, viali, il laghetto, alberi esotici, la ghiacciaia al di sotto d’una montagnola artificiale, la tomba del cane Lulù. Sontuosi e opulenti invece erano gli arredi della villa.

"Verdi l’è mort!", "Verdi l’è mort!": così inizia Novecento di Bernardo Bertolucci. Dove? A Milano, nella Milano dove studiò e da dove gli vennero onori e riconoscimenti; a Milano al Grand Hotel et de Milan, vicino alla Scala. Morì così all’inizio del Novecento, all’inizio del secolo che lo avrebbe chiamato il cigno di Busseto.

Busseto
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