MARCHE


CINGOLI : La grotta di Santa Sperandìa

di Massaccesi Andrea e Gilberto Marchegiani
Foto di Gilberto Marchegiani

Prima dell’itinerario, è bene conoscere questa Santa dal nome insolito, eletta Patrona di Cingoli, vissuta tra il 1216 ed il 1276. Ancora in giovane età, dopo una visione, lascia la natìa Gubbio, scalza, vestita da una pelle di porco e da una cintura metallica, iniziando il suo pellegrinaggio nell’Appennino centrale.

La sua venerazione è legata alle virtù taumaturgiche che manifestò ancora in vita. Infatti guarì numerose persone –soprattutto donne- da svariate malattie, risuscitò una fanciulla e compì molti altri prodigi. Il suo pellegrinaggio la portò a CINGOLI, dove si svolgeranno gli avvenimenti di maggior rilievo della sua esistenza.

Dopo alcuni anni passati in solitudine in una grotta sul monte Acuto, la Santa si recò nel monastero benedettino della città, dove morì nel 1276 ed il suo corpo si mantiene perfettamente intatto.

Alla Santa vengono attribuiti molti miracoli, tra cui il miracolo delle ciliege, il più vivo nella devozione popolare cingolana, è immortalato da un quadro di Pier Simone Fanelli, collocato nel 1683 sull’altare maggiore della chiesa di Santa Sperandia. Questo è il racconto, come ci è stato tramandato.

La chiesa e il convento avevano bisogno di riparazioni, per cui furono chiamati alcuni operai. Era inverno e durante il pranzo la Santa chiese loro se avessero bisogno di qualche cosa. Uno dei muratori, per scherzo, disse: " O Madre, gradiremmo delle ciliegie". Sperandia si allontanò e poco dopo riapparve con un cesto di belle e fresche ciliegie, tra lo stupore generale.

E adesso vediamo l’Eremo scelto dalla Santa per la sua esperienza ascetica. Si apre sul versante nord del Monte Acuto e può essere considerato emblematico degli scempi perpetrati dalla mano devastatrice dell’uomo nella Valle del Rio Laque e nella sovrastante località della Roccaccia. Tuttavia, nonostante le numerose cave, le villette costruite in modo disordinato e gli insensati interventi "migliorativi" nella cavità stessa, il luogo rimane pur sempre il regno selvaggio dell’isolamento che tanto è amato dagli eremiti: Già nel 1840, il monaco che abitava a S. Angelo volle costruire una piccola chiesa per i pellegrini. Per far questo utilizzò il materiale ottenuto abbattendo l’originale edificio di tre piccoli vani, all’imbocco della grotta che ospitò la Santa nella sua lunga penitenza. Negli anni ‘ 70 si pensò di abbellire il sito, ponendo lastre di travertino sulla ripida scala d’accesso, rifacendo la piccola e rustica chiesetta con discutibile gusto estetico e allargando il sentiero che porta alla cavità:

Oggi la natura sta in parte rimarginando queste ferite. Per un’idea della configurazione originaria della località, basta leggere l’affascinante resoconto del Franceschini (1602). Al visitatore che, scesa la ripida scala, mette piede sul ripiano in vista della chiesa che ostruisce parzialmente l’ingresso della grotta, si presenta l’ampio panorama della sottostante valle coperta di boschi. All’interno dello speco, si può comprendere quale poteva essere la vita di chi, per scelta di fede, si ritirava in luoghi tanto misteriosi ed angusti.

Nei pressi della grotta si trova una buchetta rettangolare scavata nella roccia, che raccoglie le acque di percolazione; si tratta della fonte Acitona o Acitosa più volte descritta nelle cronache. La tradizione vuole che si sia formata per essere utilizzata dalla Santa eremita. Rimane sempre piena anche nei periodi di siccità.

Ed ecco l’itinerario per raggiungere la grotta.
Partendo da Cingoli, lungo la statale 502, in direzione di San Severino, poco dopo l’abitato di Colcerasa si gira a sinistra seguendo l’indicazione " Grotte di S. Sperandia ".
La strada si fa imbrecciata e si inerpica verso il Monte Acuto. Al culmine della salita si collega con quella che sale da San Lorenzo di Treia, utilizzata da chi proviene da Macerata.
Dopo circa cento metri di discesa, imboccare la stradina sulla sinistra con l’indicazione per le Grotte e continuare a salire verso la località della Roccaccia.
Oltrepassate le poche villette, si prosegue verso alcuni ruderi e la torre della Roccaccia. Raggiunto uno spiazzo erboso con una grande croce, si parcheggia l’auto e si prosegue a piedi sul sentiero che scende a sinistra (indicazione).
Percorsi pochi metri sulla destra, inizia la scalinata in assi di legno che attraverso il bosco porta all’Eremo (15 minuti circa). Il luogo è raggiungibile in mountain bike o a piedi.