Omaggio a Sanguinetti per i suoi settant'anni
di Andrea Piovano

Da Shakespeare al Rap è un excursus dei tre spettacoli Rap (’96), Sonetto (’97), Macbeth Remix (’98) nati dalla collaborazione tra Edoardo Sanguineti e Andrea Liberovici, fondatore a Genova nel 1996 con l’attrice Ottavia Fusco del “Teatro del Suono”. La compagnia colloca la propria ricerca al centro fra il teatro di prosa e quello musicale, tentando di utilizzare il senso come esca e il suono come significante in un continuo rapporto dialettico fra loro. Quanto ai mezzi e agli strumenti utilizzati nella costruzione degli spettacoli, il Teatro del Suono opera una reinvenzione del linguaggio poetico e musicale, da un lato attraverso l’informatica musicale e dall’altro lasciandosi suggestionare dalle forme espressive del videoclip. Il risultato scenico sono sceneggiature – partiture in cui musica parola gesto luce si fondono in unità come un fotogramma – battuta – tassello da montare creativamente uno dopo l’altro, uno sull’altro, in un crescendo ritmico in cui uno pausa l’altro, punto contro punto.

Dice lo stesso Liberovici rispetto al primo spettacolo, Rap:

«Abbiamo cercato di concepire il tutto proprio come uno spettacolo, non come un corcerto in cui si succedono brani diversi, ma cone un contiuum in cui il rap è la struttura di base sulla quale sono stati innestati episodi di vario genere con strumenti e rumori elettronici. Mi pare che quindi vengano saggiate varie direttrici d'espressione sia musicali che verbali. Potrebbe dunque venir fuori una struttura del tutto nuova perchè evidentemente non si tratta di teatro musicale quale finora si è sperimentato e nemmeno di un concerto a tempi staccati: è piuttosto un tentativo di sintesi tra elementi tradizionali ed altri molto freschi […]».

Se è vero che i testi migliori scritti per la musica scompaiono nella musica, da Shakespeare al rap è uno spettacolo che, svincolato dalla narrazione, attinge liberamente alla poesia, mettendo in scena la scissione della parola nelle sue componenti fondamentali, il suono e il significato, in una suggestione in cui da unità di per sé insignificanti divengono, l’uno partecipe della costruzione dell’altro, personaggi. E proprio in virtù di questa esistenza ad un tempo autonoma e reciprocamente dipendente, suono e significato instaurano una sorta di agòne, forma spuria di conflitto e di gioco, che in una alternanza di cantilene periodiche, è simile ora ad una gioiosa baruffa, ora a lotta violenta, laddove non è tanto possibile parlare di significati e suoni singoli, ma piuttosto di uno sprigionamento di senso dal discorso verbale, ad un tempo tecnica ritmica e recitar cantando. E attraverso il contrasto si acquisce la distanza, il baratro incolmabile che divide suoni e significati, i quali ritrovano l’unità della parola attraverso accordi e congiunture che battono il ritmo: discendente, ascendente, drammatico, narrativo, tragico, ironico, in un susseguirsi vorticoso di cambiamenti di tono che, chiudendo gli occhi, sprigionano immagini.

La collaborazione tra Sanguineti e Andrea liberovici, concretatasi anche nella pubblicazione del libro “Il mio amore è come una febbre e mi rovescio”, edito da Bompiani nel 1998, riprende una passione del poeta per la contaminazione tra parola, gesto e musica che risale ai primi anni sessanta, in modo privilegiato con Luciano Berio (Passaggio, Laborintus Due) e che lo ha visto scrivere per Ronconi l’Orlando furioso e per i Magazzini Criminali, con la regia di Tiezzi la Commedia dell’Inferno.